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Il potere del linguaggio non dominante

28 October, 2014 By Adrián Leave a Comment

Incontro

Appena laureato mi chiesero di tenere alcune conferenze destinate a un gruppo di persone con l’obiettivo di cambiare il loro modo di vedere le cose e di lavorare. Venne fuori che si trattava di un gruppo di piloti delle forze aeree statunitensi con migliaia di ore alle spalle, alcuni dei quali avevano addirittura preso parte a delle operazioni di bombardamento. Così, all’inizio, per guadagnarmi il loro rispetto, iniziai a parlare di quanto fossi competente e di quante cose conoscessi; il feedback che ricevetti fu tuttavia abbastanza negativo.

Nell’ultima conferenza decisi di presentarmi con umiltà, scherzando, dicendo che avrebbero imparato delle cose da un ragazzino di 12 anni e, alla fine, riproposi la stessa conferenza. Fu una sorpresa in quanto i commenti che ricevetti successivamente furono decisamente migliori dei primi. A questo punto vi domanderete… com’è possibile?

Si tratta di quello che viene definito “il potere del linguaggio non dominante”. È un metodo che consiste non nel guadagnarsi il rispetto di quelli che ci circondano mettendo in risalto i nostri punti di forza, né utilizzando un discorso aggressivo o presentandoci come qualcuno che ha tutte le risposte. Al contrario si tratta di parlare senza problemi dei nostri difetti, di usare un discorso zoppicante e di far vedere che abbiamo molti dubbi.

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Questo è il riassunto dell’intervento di Adam Grant; seguendo questo link potrete trovare l’originale in ingelse: https://www.youtube.com/watch?v=n_ffqEA8X5g

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La spiegazione di questo fenomeno è che riconoscere i propri errori e mostrare apertamente le proprie debolezze trasmette fiducia agli altri, ci connette a loro e ci umanizza. In un esperimento di psicologia è stato analizzata la reazione di un gruppo di persone messe di fronte a qualcuno che involontariamente si versa addosso del caffè. Più in là vedremo in dettaglio che cosa è successo.

Tornando al discorso zoppicante di cui parlavo prima si tratta soprattutto di utilizzare marcatori del discorso come “forse”, “probabilmente”, di non fare affermazioni categoriche, bensì di introdurre degli argomenti o dei problemi presentandoli sotto forma di suggerimenti o domande. Questa tecnica funziona molto bene quando si deve lavorare in gruppo in quanto dimostra che vi è interesse verso gli altri.

E adesso vi racconterò un aneddoto che rappresenta bene quello che sto spiegando. Il protagonista di questa storia è un dipendente della HBO del settore vendite totalmente inesperto. Erano gli anni ’70 e l’emittente televisiva lo aveva inviato in Kansas presso la nuova filiale. Ogni settimana andava a trovare i suoi clienti cercando di far firmar loro un contratto; inaspettatamente era l’unico che riusciva a venderne uno alla settimana; gli altri solamente uno al mese. Come ci riusciva? Il suo metodo consisteva nel porre molte domande e nel parlar poco.

All’inizio non mi fu molto chiaro il perché questa tecnica fosse tanto efficace, finché lessi uno studio nel quale avevano raggruppato 10/15 persone che non si conoscevano e avevano chiesto loro di relazionarsi le une alle altre. Successivamente avevano fatto loro delle domande su ciò che sapevano degli altri e, anche se può sembrare strano, la persona che avaeva parlato di più era la stessa che sosteneva di sapere più cose sul resto del gruppo. Il ricercatore spiegò il fatto suggerendo che la maggior parte di noi crede che trasmettere agli altri i nostri pensieri sia una grande esperienza di apprendimento. Di fatto, una delle cose che ci fanno guadagnare il rispetto e la fiducia delle persone è fare delle domande.

Fare domande, infatti, risulta essere molto arricchente. Quando chiediamo consiglio a qualcuno dimostriamo la nostra vulnerabilità; l’altra persona, inoltre, si sente lusingata, e sappiamo tutti quanto ci piace e quanto ci soddisfa il fatto che la nostra saggezza venga riconosciuta. D’altro canto, quando viene chiesto un parere, la persona interpellata è obbligata a mettersi nei panni di chi ha chiesto il consiglio e ad analizzare la situazione nella quale si trova l’altra persona, identificandosi così con questa e dimostrandole anche più empatia. In tale situazione è molto più probabile che l’altra persona faccia tutto ciò che è in suo potere per prestare attenzione a qualsiasi tipo di richiesta.

Come potete vedere questo metodo è efficace perché mostrando le nostre debolezze e i nostri difetti quelli che ci circondano ci percepiscono come una persona vicina a loro, si vedono riflessi in noi e, di conseguenza, si viene a creare una situazione di uguaglianza. Ed ecco il mio consiglio: anche se non vi succederà spesso, tutte le volte che vi ritroverete a pensare quanto forti, sicuri, dominanti e bravi siete pensate che parlare delle vostre debolezze e mostrarvi persone vicine al vostro pubblico è molto positivo.

Per ultimo, tornando all’esperimento del caffè versato, i risultati hanno dimostrato che le persone con un’autostima normale hanno percepito il gesto come qualcosa di simpatico, si sono viste riflesse nella persona a cui è successo, in quanto il gesto dimostrava vicinanza con il pubblico. Tuttavia, le persone con un’autostima molto alta hanno affermato che la persona era stupida e quelle con un’autostima bassa hanno pensato che fosse impacciata quanto loro. In breve: con persone che hanno un livello medio di autostima questa forma di “linguaggio non dominante” ha funzionato davvero bene.

 

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